Milano, Stazione Centrale. Un caldo pomeriggio di questo strano agosto. Treni che partono e arrivano e, nell’atrio, un via vai di tanti viaggiatori che immancabilmente sostano di fronte al grande tabellone per controllare gli orari.
Succede che, poco distante da noi, un piccolo cane inizia ad avere un attacco di diarrea. Il padrone, nel panico più totale, cerca di tamponare con tutti i fazzoletti che ha a disposizione. Poi, preso dall’imbarazzo e dal panico, prende il cane in braccio e si dilegua nella folla.
Il pavimento, su una superficie di almeno 6 metri quadri, è un mosaico di escrementi e di fazzoletti sporchi.
Perché raccontare questo? Perché è quello che è successo dopo che è ancora più incredibile. Sul grado di civiltà di molti proprietari di animali, sulla relativa capacità di comportarsi in pubblico imponendo ad altri scene di questo tipo e su quanto faccia bene agli animali essere strapazzati di qua e di là, ognuno si può fare l’idea che vuole.
Il punto è che per una buona mezz’ora, fino all’arrivo fortuito di un addetto delle pulizie, un fiume di persone, rigorosamente con la mascherina indosso, ha calpestato tranquillamente quella simpatica poltiglia. Chi con lo sguardo fisso nel vuoto cercando un binario, chi cercando di orientarsi in uno spazio caotico. Chi ancora, per riposarsi e aspettare informazioni, fermandosi proprio sopra, con scarpe e valigie.
Ho contato tre persone capaci di rendersi conto che avrebbero calpestato lo sporco, evitandolo. E altre cinque che se ne sono avvedute quando era troppo tardi.
Dopodiché, appunto, dall’ondeggiante marea di persone è spuntato un addetto alle pulizie che in silenzio -ma con una faccia che era più chiara di un discorso intero- ha provveduto a pulire l’intera area.
L’indifferenza della folla ha provveduto dapprima a creare una bolla intorno all’inserviente: in qualche modo la sua figura evidenziava una situazione di sporco, da cui in automatico l’essere umano si allontana.
Poi, terminato il servizio, la marea dell’indifferenza ha di nuovo livellato i flussi e gli spazi dell’atrio.
Più guardiamo i nostri comportamenti, come singoli e come società, più si affollano tanti pensieri e tante considerazioni. Si potrebbero fare delle tirate moraleggianti: non ci sono mai piaciute e sempre più ci rendiamo conto che non servono a nulla.
Certo risulta un po’ difficile pensare che siamo capaci di agire una qualche responsabilità se per primi -e in quantità percentualmente così soverchiante- non siamo nemmeno consapevoli che finiamo con entrambi i piedi nella…melma canina.
Non è solo questione di igiene e della contraddizione: mascherine anti-tutto indossate e valigie poggiate a terra su qualsiasi liquame.
Si tratta ovviamente di qualcosa di più profondo.
Certo, in una prospettiva autoassolutoria e consolatrice, è facile finire tanto nel benaltrismo (“i problemi sono ben altri”) quanto nel “non tutti sono così”.
Ed è vero: ci sono tanti altri problemi e fortunatamente il mondo va avanti perché c’è un’ossatura di persone capaci di distinguere il pulito dallo sporco, in tutti i campi.
Però è anche un po’inutile e ingenuo pensare di poter cooperare a risolvere problemi più grandi di noi, cambiare il mondo, se poi non sappiamo nemmeno camminare.
Pensieri (quasi) ferragostani per dire che tutti abbiamo un enorme bisogno di tempi e spazi per imparare piano piano, a dosi omeopatiche e sempre più crescenti, ad abitare consapevolmente la nostra vita.
Per dire che i bollettini, le previsioni, i giornali e le parole possono anche mentire ma gli sguardi no. E in quel via vai si incrociano sguardi persi, indicibilmente smarriti alla ricerca chissà dove di una normalità perduta e che stridono così tanto con la felicità che si sforza di uscire dalla bocca.
Per dire che forse un po’ tutti siamo come quel piccolo cane, soli di fronte all’indifferenza, senza altri strumenti per risolvere i propri fastidi e problemi se non quello di non trattenerli più e di sciorinarli al mondo.
Per dire, quindi, che anche se non sarà semplice, saremo ancora qui, a settembre, a camminare insieme, su quella difficile via della ricerca dell’armonia. Cadendo e rialzandoci per imparare a vedere dove camminiamo e perché.